Idioti dhe Komedia Hyjnore.
shkeputur nga Idioti (pjesa ime e preferuar):
- Capisco: avendomi detto in modo così ingenuo che non eravate d’accordo con me, ora cercate di consolarmi… ah, ah! Siete un vero bambino, principe. Noto però che voi tutti mi trattate come… come una tazza di porcellana… Non importa, non importa, non vado in collera. A ogni modo, la nostra conversazione ha preso una piega molto buffa: qualche volta, principe, siete proprio un bambino. Sappiate poi che io preferirei essere qualunque cosa, fuorché un Osterman; per essere un Osterman, non metterebbe conto di risuscitare… Del resto, vedo che debbo morire al più presto, se no anch’io… Lasciatemi. Arrivederci! Ma via, ditemi voi stesso: a parer vostro, quale sarebbe per me il miglior modo di morire? Intendo: perché riesca una cosa quanto più è possibile…degna? Su, parlate!
-Passate davanti a noi e perdonateci la nostra felicità! – disse il principe con voce sommessa.
-Ah-ah-ah! Lo sapevo io! Mi aspettavo proprio qualche cosa del genere! Voi però… voi però… Ma sì! Siete gente piena di eloquenza! Arrivederci, arrivederci!
shkeputur nga La divina commedia (Inferno-canto V):
- Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
- prese costui de la bella persona
- che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
- Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
- mi prese del costui piacer sì forte,
- che, come vedi, ancor non m'abbandona.
- Amor condusse noi ad una morte.
- Caina attende chi a vita ci spense».
- Queste parole da lor ci fuor porte.
- Quand' io intesi quell'anime offense,
- china' il viso, e tanto il tenni basso,
- fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
- Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
- quanti dolci pensier, quanto disio
- menò costoro al doloroso passo!».
- Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
- e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
- a lagrimar mi fanno tristo e pio.
- Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
- a che e come concedette amore
- che conosceste i dubbiosi disiri?».
- E quella a me: «Nessun maggior dolore
- che ricordarsi del tempo felice
- ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
- Ma s'a conoscer la prima radice
- del nostro amor tu hai cotanto affetto,
- dirò come colui che piange e dice.
- Noi leggiavamo un giorno per diletto
- di Lancialotto come amor lo strinse;
- soli eravamo e sanza alcun sospetto.
- Per più fïate li occhi ci sospinse
- quella lettura, e scolorocci il viso;
- ma solo un punto fu quel che ci vinse.
- Quando leggemmo il disïato riso
- esser basciato da cotanto amante,
- questi, che mai da me non fia diviso,
- la bocca mi basciò tutto tremante.
- Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
- quel giorno più non vi leggemmo avante».
- Mentre che l'uno spirto questo disse,
- l'altro piangëa; sì che di pietade
- io venni men così com' io morisse.
- E caddi come corpo morto cade.