IL PASSEGGERO (1907) di Franz Kafka
Mi trovo sulla piattaforma di una vettura tranviaria e mi sento profondamente incerto rispetto alla posizione che occupo in questo mondo, nella città, nella mia famiglia. Neanche incidentalmente saprei dire quali esigenze potrei avanzare con ragione in un qualsiasi senso. Non posso giustificare il fatto che sto su questa piattaforma, mi tengo a questa cinghia, mi lascio trasportare da questa vettura, che la gente sfugga il tram, se ne vada tranquilla, o si fermi davanti alle vetrine dei negozi. Nessuno me ne chiede ragione, ma questo non vuol dire.La vettura si approssima a una fermata, una ragazza si avvicina all’uscita, pronta a scendere. Mi appare con gran chiarezza come se l’avessi palpata. È vestita di nero, le pieghe della sottana non si muovono quasi, la camicetta è attillata e ha un collo di trina bianca a maglia sottile: la mano sinistra è appoggiata, spianata alla parete, l’ombrello nella sua destra sta sul primo gradino del predellino contando dal basso. Il viso è bruno, il naso lievemente compromesso dalle parti, finisce rotondo e ampio. Ha una fitta capigliatura bruna, sulla tempia destra si vedono alcuni capelli mossi dal vento. Il suo piccolo orecchio è attaccato bene alla testa, ma vedo, perché le sono vicino, la parte posteriore del padiglione e l’ombra sull’attaccatura dell’orecchio destro.
Mi chiesi allora: come mai non è stupita di sé e tiene chiusa la bocca e non dice nulla di simile?
Mi trovo sulla piattaforma di una vettura tranviaria e mi sento profondamente incerto rispetto alla posizione che occupo in questo mondo, nella città, nella mia famiglia. Neanche incidentalmente saprei dire quali esigenze potrei avanzare con ragione in un qualsiasi senso. Non posso giustificare il fatto che sto su questa piattaforma, mi tengo a questa cinghia, mi lascio trasportare da questa vettura, che la gente sfugga il tram, se ne vada tranquilla, o si fermi davanti alle vetrine dei negozi. Nessuno me ne chiede ragione, ma questo non vuol dire.La vettura si approssima a una fermata, una ragazza si avvicina all’uscita, pronta a scendere. Mi appare con gran chiarezza come se l’avessi palpata. È vestita di nero, le pieghe della sottana non si muovono quasi, la camicetta è attillata e ha un collo di trina bianca a maglia sottile: la mano sinistra è appoggiata, spianata alla parete, l’ombrello nella sua destra sta sul primo gradino del predellino contando dal basso. Il viso è bruno, il naso lievemente compromesso dalle parti, finisce rotondo e ampio. Ha una fitta capigliatura bruna, sulla tempia destra si vedono alcuni capelli mossi dal vento. Il suo piccolo orecchio è attaccato bene alla testa, ma vedo, perché le sono vicino, la parte posteriore del padiglione e l’ombra sull’attaccatura dell’orecchio destro.
Mi chiesi allora: come mai non è stupita di sé e tiene chiusa la bocca e non dice nulla di simile?