Re: Ç'rol po luan inteligjenca shqiptare për të dalë nga bataku?
ne fakt, gjithcka varet nga kuptimi qe i japin termit "inteligjenca".
Le te perpiqemi t'i japim nje kuptin
mora kete nga nje site italisht
Intellettuale s.m. All'inizio vi fu il " philosophe ", termine fatto circolare all'alba del XVIII secolo in forma manoscritta e anonima grazie a un breve trattato, attribuito in seguito al linguista Du Marsais. La contiguità-continuità tra il secolo dei Lumi e il nostro dovette apparire evidente se il titolo del testo di d'Alembert Essai sur la sociètè des gens de lettres et des grands (1753) fu tradotto in italiano nel 1977, dall'editore Einaudi, con stridente anacronismo, e insieme con innegabile efficacia, Saggio sui rapporti tra intellettuali e potenti . I temi erano del resto già quelli che ci hanno a lungo assediato. I philosophes (o gens de lettres ) erano infatti, per d'Alembert, il prodotto, orgogliosamente autonomizzatosi, dell'affermarsi dell'opinione pubblica: non erano nè semplici eruditi nè semplici militanti, ma un impasto che escludeva la torre d'avorio così come l'impegno acritico, prevedendo, contemporaneamente, l'autonomia della cultura e il contatto permanente con politica e società.
Fu poi la volta - nel 1794 - del " Gelehrte " di Fichte e della sua missione.
Lungo e accidentato fu però il percorso del termine "intellettuale". Presente (" intellectual "

, con qualche risvolto ironico, in Byron (1813), e, più seriosamente, in Ruskin (1847), ma anche (" intellectuel "

in Saint-Simon (1820) e in Maupassant (1879), per tutto il secolo XIX fu usato pochissimo e senza mai uscire dal significato generico di "uomo di cultura", laddove il suo significato novecentesco, erede in questo del philosophe , costituisce il personaggio in "gruppo" (per "intellettuale" s'intendono cioè "gli intellettuali"

e lo collega non solo alla cultura, ma alla società. Un semplice "dotto" non è cioè, nel XX secolo, un "intellettuale". Negli anni sessanta del XIX secolo, tuttavia, il poco noto scrittore russo Boborykin coniò il termine " intelligencija ", gravido di destino e reso subito popolare, nonchè diffuso all'estero, da Turgenev.
La parola esplose però nel 1898 in francese, grazie al Manifeste des intellectuels , steso a favore della causa del capitano Dreyfus: pare che sia stata suggerita da Clemenceau. Da allora non venne più abbandonata, anche se il carattere elitario ed "eroico" della funzione, rispetto all'epoca di Voltaire, era già declinante. La parola significativamente nasceva mentre la cosa si diffondeva nella microfisica dei saperi, si sgretolava, si professionalizzava, si specializzava, certamente si democratizzava, ma altrettanto certamente si massificava. Con gli intellettuali , generalmente democratici, nacquero allora gli anti-intellettuali , generalmente, almeno in Europa, conservatori o reazionari. Ma non sempre. In Italia, dove la parola arrivò tardi, fu diffusa dal Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile (1925). Croce non l'amò. Mussolini si dichiarò, nel 1932, "anti-intellettuale". Gramsci, e ancor più i gramsciani degli anni cinquanta, ne fecero un frequentatissimo e dibattutissimo caposaldo dell'italo-marxismo. Quel dibattito sembra, come gli "intellettuali", senza rimpianti esaurito. Resiste solo, rancorosamente rovesciato, nel risentimento di alcuni "anti-intellettuali" che non si sono accorti che non solo non esiste più il loro idolo polemico, ma neppure il mulino a vento che lo trasforma in miraggio.
Bruno Bongiovanni